Il tempo della semplice risata, dello scherzo puro e del raccontarsi
Caro Peppinuzzo ti scrivo, visto che sei molto lontano, più forte ti scrivo. Parafrasando “l’Anno che verrà” del grande Lucio Dalla, che a te piaceva tanto, mi permetto di disturbare la tua anima, perché come ogni buon pensiero, che dal cuore sale fino alla mente, difficile poi è addomesticarlo, fermarlo fino a che non trova la giusta forma espressiva. Come promesso, appena qualche tempo dopo la tua ascesa verso campi elisi migliori di questi nostri bui luoghi di malinconia e continua tristezza, dove il sole appare a rate riscaldando i nostri cuori che hanno in se tanta voglia di vivere, sono venuto a trovarti non nel luogo del sonno eterno ma nel tuo luogo di vita, natio, dove le mattine d’estate facevi rimbalzare quel dolce suono di corda della tua chitarra in ogni abitazione, all’interno della quale ogni componente di famiglia con in mano una tazza fumante di caffè trovava lo zucchero perfetto per poterne apprezzare l’aroma.
Appena arrivato mi sono subito seduto su quelle strette scale di casa tua e con fare semplice mi sono guardato intorno, mentre la mente ritornava ai migliori anni della nostra vita. Il tempo della semplice risata, dello scherzo puro, del raccontarsi, sperando che crescendo potessimo realizzare le tante nostre speranze che in quel momento apparivano soltanto sogni e favole da conservare nel cassetto di una bella giornata passata tra amici. Quelle scale salite e scese nei periodi estivi per riannodare una certa simpatia con numeri e formule, che nei miei pensieri non hanno mai trovato la propria residenza ideale. Ma tu, con il suono di quelle docili corde della tua chitarra che richiamavano autori del tempo passato, con quel sorriso da eterno giovane semplice e puro, riuscivi, come per magia a riannodare i fili tra la mia ragione e il nocciolo vero di una formula matematica. Un mese intero a ragionare e meditare al richiamo di un suono di chitarra, che alla fine portava i suoi sperati frutti di aver il lasciapassare all’anno scolastico successivo. Chi mai potrà dimenticare quel suono della tua chitarra diventato per i tanti tuoi amici, alunni e luoghi di vita la vera religione dove il muovere di una corda riusciva a comporre un’idea di ebbrezza di grande emozione.
Sei stato un respiro, polvere e chitarra; con una chitarra e una voce ben composta hai suonato la tua libertà, hai affrontato con grande intonazione la tua sorte, che alla fine male ti ha ripagato, perché troppo presto ti ha portato nella zona d’ombra dove non riusciamo a vederti, ma sentirti ancora si può. Mi sei tornato alla mente, quando proprio il 30 novembre del 2014 con un scritto annunciavo come agli inizi dell’anno successivo, sarebbe andato in scena “l’ultimo scugnizzo” dello stabiese Raffaele Viviani. Le musiche del Maestro Dino Viceconte, l’orchestra di chitarre proprio da te dirette: Maestro Giuseppe Santino Fortunato. Fu un grande successo al cinema Columbia, un richiamo alla vita con un dramma raccontato da Raffaele Viviani, ben musicato con quel caldo e avvolgente suono di chitarre da te ben dirette. Diceva mio padre, anche lui amante della chitarra e del mandolino: alcune volte una chitarra può far sognare ad alta voce. Caro Peppinuzzo, in te c’era qualcosa in più: il sorriso sul tuo viso diventava grande quando sulle gambe poggiavi la chitarra. Mi avvio caro amico mio, tornerò presto perché in fondo la mia adolescenza è legata ad una chitarra.